Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista, ipse dixit. I Voina sembrano aver passato alla grande questa fatidica prova, e nel tour di “Alcol, schifo e nostalgia” si riconfermano sul palco più grintosi che mai, pronti a sputare sul pubblico il disagio e la rabbia generazionale del nuovo disco in un terribile Hiroshima provinciale.
L’Hi-Hat Play Live è la splendida cornice della serata di beneficenza a favore degli orfani delle vittime di Loreto Aprutino nella tragedia di Rigopiano. Entrambe le band si esibiscono a titolo esclusivamente gratuito e l’intero ricavato sarà devoluto agli sfortunati ragazzi e ragazze che hanno perso i genitori nella drammatica valanga del 18 gennaio. Dalle ore 20 il locale comincia ad affollarsi per l’aperitivo, tra appassionati di musica e semplici partecipanti solidali. Verso le 22:30 i primi movimenti sul palco, con una costola dei Rapa-Nui pronta ad intrattenere gli spettatori con alcune cover. Alle 23 i Rapa-Nui si presentano finalmente al completo, pronti per la loro prima vera esibizione.
La band vestina propone solo brani inediti propri, contenuti nel loro primo demo in uscita a breve. L’ispirazione proviene dal circuito della musica alternativa e indipendente, ma comunque i ragazzi riescono a sviluppare in maniera personale le melodie, ottimamente supportate dalle quattro chitarre piazzate in primo piano, che vanno a coprire scenicamente una batteria comunque ben presente. Tra le canzoni eseguite, spicca senza dubbio “Aida”.
L’esibizione termina tra gli applausi degli spettatori assiepati sotto il palco, curiosi di questo nascente progetto musicale. Lo stage intanto viene sgomberato di fretta e preparato per i Voina. Per ingannare il tempo viene estratta la lotteria di beneficenza che vede in palio il dipinto donato da tre artisti pescaresi. Poi le luci si assopiscono, la folla si accalca in prossimità del palco e la voce di Mark Renton ci ricorda quanto è una merda essere scozzesi.
“Welfare” è la partenza con il botto dei Voina, che bissano senza interruzioni con “Calma apparente” e “Non è la Rai”. Il trittico iniziale è una secchiata d’acqua in faccia che sconvolge e fa subito scatenare il pubblico. La carica che trasmettono i quattro musicisti lancianesi è inaudita, la potenza dei loro brani è esplosiva. Ivo saluta i presenti e ribadisce l’onore di essere sul quel palco per una giusta causa. Poi si ricomincia con “Io non ho quel non so che”.
“Bere” è il brano che anticipa il momento slow del live, attimi per respirare e soffermarsi sulle parole. La rabbia malinconica de “Le pietre” è seguita dalla toccante “Il funerale”, brano più che mai simbolico della serata. La pelle d’oca viene spontanea, così come i tanti applausi. A chiudere il turbinio di emozioni ci pensa “La provincia”, in una versione eseguita solo basso e voce.
La calma è solo apparente, perché si ritorna subito a fare casino con “Morire 100 volte” e “Questo posto è una merda”. Le esagitate prime file non sanno più stare ferme, il pogo sconfina in un movimentato circle pit che vede partecipare lo stesso Ivo. Si scende d’intensità solamente con “Il jazz” e “Gli anni 80”.
“Ossa”, la power ballad dell’amore sbagliato, è la canzone con cui Ivo e soci abbandonano ritualmente il palco per ritirarsi nel backstage. Il pubblico non crede alla sceneggiata, ma li richiama subito a gran voce e li riaccoglie entusiasticamente. La band riparte con “Finta di niente”, ultimo brano in scaletta con cui salutano la calda platea presente, in una tempesta di note che spompa anche gli stessi artisti.
I decibel risuonano ancora forte nelle orecchie. Il live è stata una vera e propria prova di resistenza, le casse ci scagliavano contro riff energici e parole che pesavano come un macigno. Ora c’è chi assalta il bancone per farsi l’ennesima birra, chi è uscito subito per fumarsi l’ennesima sigaretta. Impossibile fare finta di niente di un concerto potente come questo, rabbioso e malinconico al tempo stesso. Questo è lo schifo che ci piace.